16 ottobre 2006
>LE MIE DONNE PREFERITE - 12
Galeotto fu un piatto di lenticchie, narra la leggenda. Che per fortuna non finì come più o meno tutto quanto il resto sbrodolato tra le pieghe del mento e di un collo quasi scomparso. Piuttosto cominciò con le dita nel naso, irriverente incubatrice da taglio cesareo, un mese in anticipo per paura di perdersi chissà quale cosa. Cominciò con quel «bai» detto gonfiandosi tutta, bollo nell’occhio e negli occhiali, ma sempre bagonghi nel cuore. Tra le perizie più celebri lo scarafaggio catturato e assaggiato, boccali di birra alla Brogles e in giro per le montagne, la straordinaria regolarità con cui ha rotto ogni tipo di scatola.
L’alternativa era un cane peloso, meglio dunque vedere lei gattonare per tutta la casa. In fondo, per adeguarmi agli spazi, sarei andato a dormire anche sotto la mia scrivania, contraendo un credito immenso tale per cui l’avrei avuta al mio fianco ogni volta la necessità l’avrebbe richiesto. Pasti nel seggiolone, dal Cree di Pieve Cesato averla appresso in ogni occasione, per dannazione qualche urlo e sberlone è pure volato, Maghetto Pasticcio l’abbiamo letto e imparato a memoria tutto incantato. Le scuole sono l’asilo lontano di piazza Bologna, la materna di cui si teneva il registro dei compagni trascritto in agenda, le elementari con un sottopassaggio tremendo da affrontare bicicletta alla mano, il trionfo ecologico ottenuto alle medie, e il liceo, sette anni più tardi, a cui è arrivata seguendo la scia.
E allora, non che prima non sia mai successo, tra la Pokemonmania esplosa ogni estate, ristorante e pizzeria, le bandiere e il Niballo, dediche in radio, carte di Uno e giochi inventati, ma è adesso che forse ed insieme ci si può divertire ancora di più, lasciando da parte il maggiore arroganza e tormento e rincorrendo lei, la minore, decisione sicura e capacità di fiducia. Occupata al telefono, impiegata in parrocchia, nuotatrice, pattinatrice e ora persino audace arrampicatrice, modesta lettrice golosa di tutto, cuoca provetta e telefilm come moda, pastrocchi a colori, amichette e amichetti, sempre pronta a dare una mano, la prima a dire di sì, l’ultima a pensare per lei. Capelli come quasi un problema, faccia tosta arma segreta, veloce, paziente, gentile e sempre costante il suo sorriso, nulla l’abbatte, se non proprio il sonno improvviso.
E allora i tuoi dadi tienili sempre a suonare con gli occhi chiusi. Vedranno lo stesso che tu sei davvero la sorella migliore che si possa desiderare.
| inviato da il 16/10/2006 alle 12:3 | |
13 ottobre 2006
>IL BENE SOTTO LE MACERIE DEL WORLD TRADE CENTER
La malafede ideologica di chi Oliver Stone, intervistatore di Castro e regista del complotto, l’aveva elevato a proprio sinistro paladino, ha prodotto una retorica, pure violenta, coinvolgente nella contestazione di questo film, contenitore di buoni sentimenti tutti americani. Per assurdo, la stessa retorica di cui viene accusata un’opera che ne deve fare necessità e virtù, soddisfando così le richieste di aiuto giunte al sogno cinematografico per superare un dramma assurdo, violento, immenso: l'Undici settembre. È in questo senso che ci lasciamo trascinare in un lavoro già definitivo, un film ben fatto, emozionante, funesto, che partecipa al filone catastrofico e coerentemente con il proposito dichiarato del regista, raccontare il bene di quella tragica giornata, fa delle sbavature strumento di contrasto della ferocia, autentico baluardo per chi non ha intenzione di cedere agli «invasati» che si radono i capelli e partono due volte per l’Iraq. Aggrappato forse ad un’eccessiva carica (anche se tutto si basa sulle testimonianze di Will Jimeno e John McLoughlin, poliziotti sopravvissuti quasi ventiquattr’ore sepolti dalle macerie mentre erano impegnati nella procedura di evacuazione dei grattacieli), Stone perde la bussola laica. L’apparizione di Cristo Gesú penalizza la pellicola dal punto di vista estetico, visto che il «ferro, calcinacci e niente» era stato fin lì espresso con superbia senza pari, ma i primi venti minuti di risveglio di un’intera metropoli sono un capolavoro da tramandare ai posteri, il collasso delle strutture ha un impatto visivo tremendo, l’angoscia delle famiglie morde il cuore. In ogni caso Cinema, che aiuta l’America a leccarsi con grazia le ferite. E a rendersi conto di essere un paese tanto ricco e potente, ma tanto triste e infelice.
World Trade Center (id., Stati Uniti, 2006, venezia63) Regia di Oliver Stone
| inviato da il 13/10/2006 alle 16:30 | |
10 ottobre 2006
>TRA IL GUIZZO E LO SCOOP
Uno scacciapensieri intelligente e spiritoso, fondato sull’immediatezza degli effetti della risata ma anche su stimoli più sottili e sotterranei. E un altro scacciapensieri, una volta chiamato arpa giudea, ma si sa che «quelli appena sentono odore di antisemitismo scrivono una lettera». Woody Allen torna in sala, ometto ebreo «convertito al narcisismo», voglioso di vivere ma impacciato, racchiudendo nel profilo del suo nuovo film sia la classica ilarità verbale e fulminante, sia battute e figurine azzeccate (il suo stesso prestigiator Splendini, «nome esotico per dispensar carisma qua e là») anche nel semplice ordine del simpatico pasticcio (il sistema pneumonico dei «cinquanta portaceneri che ballano con gonnellini di paglia»). Specialista di ritmi brillanti, anche soltanto con un guizzo, il nostro eroe riesce ad esprimere il rosa non patetico e il giallo cialtronesco, e chi ne venera un talento che non conosce pensionamento potrà ammirarlo per l’aria assurda che decide di far circolare in ogni inquadratura. «Negli Stati Uniti sarei stato un eroe» dice allora arrivato alla fine della storia, sul battello guidato dalla nera signora con la falce. Ma ritrovarlo ancora in Europa eppure così in forma e impegnato di persona dopo le ultime parziali e solo carine prove, ci basta per tornare a godere del suo estro e perdonandogli di aver ripreso in mano il catalogo della Londra bene altolocata, contento solo di sollevare nuvolette buffonesche e scheletri nell’armadio dei suoi aristocratici abitanti. E che di Scarlett sia ormai completamente cotto è evidente quando le fa i brilluccichii nell’acqua immediatamente prima di farla immergere in piscina.
Scoop (id., Regno Uniti/Stati Uniti, 2006, sala) Regia di Woody Allen
| inviato da il 10/10/2006 alle 14:48 | |
9 ottobre 2006
>MIAMI, MA QUANTO MI AMI?
Rabbrividente. D’immensa disperazione e solitudine. Senza fenicotteri rosa, con pochissime palme, quasi tutto notturno, balneare per nulla, ma con le carte e i chili di droga in regola per reggere il confronto con la serie tv. Concepito con un disegno cinematografico da far impallidire chiunque, alla fine funziona e conta questo solamente. Jamie Foxx, con il contorno capelli più netto mai visto sullo schermo, e Colin Farrell, che non si capisce bene che abbia ogni volta per piacerci così tanto, entrambi con un coefficiente di penetrazione gonfiato oltre il lecito, sono anime dal sangue gelido impegnate nella riservatezza quotidiana della pena del loro lavoro d’infiltrati speciali, al servizio di un regista maiuscolo che letteralmente li muove all’interno di una frittata continuamente rivoltata, al punto che anche la trama sembra sia rinegoziata e rilanciata. Ma il film non sopporta parafrasi che ne banalizzino il complesso, consumato tra scie di sangue sull’interstatale, cecchini da scovare con gli infrarossi, esplosioni con i fuochi artificiali e buchi nella testa, e che utilizza i sentimenti come arma segreta: clima, situazioni, passaggi, scopate in limousine, che la regia di Michael Mann (oltre a rendere sexy da morire la bruttina Gong Li) esprime con incalzante stile. Teso senza pause in uno spasimo di violenza, sorretto da un impetuoso commento musicale e dalla clamorosa fotografia, la storia rifiuta di raccontare le donne (vedi la biondina dalla mira perfetta) ma dimostra come quelle senza marito né bisogno di uomini per avere una casa in cui tornare, debbano poi farsi salvare il culo, mentre le altre siano capaci di lottare davvero anche da sole. Il finale, però, è a suo modo più ottimista, moralista e convenzionale di quanto sembri a prima vista e ci si potesse aspettare.
Miami Vice (id., Germania/Stati Uniti, 2006, sala) Regia di Michael Mann
| inviato da il 9/10/2006 alle 1:16 | |
|